Friday, June 16, 2006
Orologioooo
Ho aggiunto l'orologio! Ma come sono brava! (si inebria di se stessa)
Mi spiace di non riuscire a scrivere più storie su questo spazio, domani e dopodomani ne posterò una sicuramente.
 
Scribacchiata da Tata at 12:45 PM | Permalink | 0 comments
Friday, June 09, 2006
Casualità
L'ultimo giorno di scuola e come al solito arrivo in ritardo...
E' strano questa volta non c'è la solita tristezza nell'aria, quella ostentata allegria perchè "oggi è l'ultimo giorno". C'è soltanto ansia e nervosismo, lo percepisco sottile come un filo di nilon... C'era da aspettarselo, visti tutti i litigi che sono scoppiati durante l'anno. Ci si punzecchia con battutine ironiche sulle medie dei compagni, e si fanno commenti poco gradevoli su quelli che non sentono. Questa è una quinta superiore che va all'esame di maturità?
Durante lo stress di questa mattina, mi metto d'accordo con alcune compagne per andare a mangiare un gelato nel pomeriggio. Con loro vado d'accordo, non credo potrei mai litigarci. Finisce la scuola... Suona la campanella.
Mi sale la nostalgia, ma si spegne subito quando mi si avvicina quel mio compagno grasso e petulante per darmi un bacio e dirmi;
"Stammi bene!".
Credo di non essere mai stata così ipocrita come nel momento in cui gli ho risposto
"Anche tu e studia per l'esame!", a dargli il bacio il mio stomaco si è rivoltato come una tasca di pantalone.
Tornata a casa sono riuscita comunque a pranzare, mio padre non c'era nemmeno oggi in casa, "ancora a lavoro" pensai con lo stesso tono rassegnato e leggermente divertito che usava mia madre nel comunicarmelo.
Mio padre lavora come pubbliccitario in una grande azienda, non mi stupiva che doveva sempre essere trattenuto a lavoro per finire i progetti.
Era ora di uscire per ritrovarmi con le mie compagne di classe.
Ero leggermente in anticipo, sul pullman me ne resi conto. Ascoltavo la musica, non so perchè ma non mi andava di leggere oggi. Il solito paesaggio scorreva placido fuori dal finestrino, le macchine superavano e si disperdevano.
Ci fermammo a un semaforo. Il rosso durava un'eternità quel pomeriggio. Spostai lo sguardo sulle macchine accostate al pullman in attesa. Una macchina come quella di papà, pensai. Ma non poteva essere la sua sopra c'era una donna bellissima, che rideva aprendo esageratamente la bocca macchiata di rossetto rosso.
Perchè non distolsi lo sguardo quando la trovai volgare? Per un brutto scherzo del destino restai a fissarla. E il tempo si fermò in un istante.
Perchè, quella era la macchina di mio padre, ed era lui l'uomo che la faceva ridere infilandogli la mano sotto la gonna e ora... la baciava sulle labbra, come mai l'avevo visto fare con mia madre. Mia madre, che gli stirava perfettamente le camice, gli preparava la colazione a letto e gli dava una casa pulita e accogliente dopo una giornata di lavoro. Mi apparve la sua immagine, lavava i piatti e con tono rassegnato e leggermente divertito mi diceva
"Ancora lavoro..."
Quanto amare furono quelle parole.
Il verde finalmente scattò, tutto riprese a muoversi, tranne me che intontita restavo a fissare il vuoto... Mi sentivo male. Il respiro inizio a farsi difficile e la temperatura salì indecentemente. Luci colorate mi annebbiarano la vista e mi sono ritrovata qui dottoressa.
"Credevo fosse un calo di zuccheri... Ma credo che tu abbia subito una sorta di shock. Dirò ai tuoi genitori che puoi già tornare a casa..."
La dottoressa le strinse la mano, come per solidarietà ma Hinako gliela afferrò con forza.
"Cosa devo fare?? Devo parlare? cosa devo fare!?"
Si mise a piangere.
"Fai ciò che ti fa stare meglio."
La dottoressa uscì e dopo pochi minuti entrarono i genitori. La madre la strinse e il padre la baciò sulla fronte. Hinako vomitò.
"Vado a chiamare la dottoressa!"
Disse il padre risoluto. La madre le restò accanto e la sostenne come poteva.
"Amore mio.. Ci siamo preoccupati tantissimo! Papà ha pure lasciato il lavoro prima per venire al pronto soccorso..."
"Mamma..."
"Cosa amore?"
"Devo dirti una cosa..."
 
Scribacchiata da Tata at 8:24 AM | Permalink | 2 comments
Friday, June 02, 2006
Una storia lunga

Capitò un giorno per caso che Jacopo iniziò a chiedersi come fosse fatta la sua testa all’interno, e rimase con questo pensiero tutto il giorno.
Cercò di sbirciare nelle narici davanti allo specchio e cercò di guardare dietro gli occhi, ma senza successo.
Allora lo chiese alla madre e al padre durante la cena e con un sorriso divertito gli risposero:
“Dentro la testa c’è il cervello”
“il cervello?”
Chiese lui stupito.
“Si, è come una grossa spugna grigia che comanda il tuo corpo secondo le tue volontà.”
“Ricorda più una noce che una spugna cara..”
Al che i genitori iniziarono a parlare d’altro e lui rimase col pensiero di una grossa noce spugnosa nella sua testa, e la cosa non gli piaceva per niente.
Si lavò i denti e riprovò a controllare dalle narici senza vedere di nuovo nulla. Così andò a dormire.
Restò a girarsi e rigirarsi nel letto senza riuscire a prendere sonno e, a furia di girare intorno al pensiero, perse l’equilibrio e cadde dentro il suo orecchio. Atterrò sul morbido per fortuna, un cumulo di scampoli giallognoli e profumati rimase senza muoversi per un po’. Si alzò a sedere e si guardò intorno. I suoi capelli oscillavano leggeri, come se fosse immerso sott’acqua, ma riusciva a respirare come all’aria aperta. Nel guardarsi intorno vide delle immense buche che tappezzavano il terreno circostante e un ponticello sospeso che le sovrastava immergendo in ognuna di esse una scaletta di corda. Rimase quasi incantato dalla polverina bianca che scendeva intorno a lui come la neve, alzò un palmo per prenderne un po’ ma appena si posava scompariva. Sarebbe rimasto in quello stato di ammirazione per molto tempo se un piccolo colpetto alle sue spalle non l’avesse richiamato. Si girò, e si trovò davanti un piccolo globo luminoso che volteggiava davanti a lui.
“ E tu chi sei?”
Chiese senza realmente aspettarsi una risposta. Il piccolo globo iniziò a volteggiargli intorno lasciando delle leggere scie luminose.
“Come sei bello!”
Con uno scatto veloce il globo andò verso una delle buche e si fermò li sopra come in attesa e con uno sbuffo di fumo verde, risalì la scaletta l’uomo più barbuto e grosso che Jacopo ricordava di aver mai visto. Il globo gli svolazzava attorno come a volergli comunicare qualcosa e solo allora Jacopo si accorse che si trattava di una fatina, ed era molto simile a una che aveva visto su un libro. L’uomo grosso si incamminò verso di lui e gli si fermò davanti sovrastandolo con tutta la sua grande pancia. Si inchinò fino ad essere faccia a faccia con lui intimorendolo così tanto che si sarebbe messo a piangere se l’uomo non si fosse aperto in un enorme sorriso sorprendendolo.
“Grande Giove! Ma tu sei la voce!”
Jacopo restò a fissarlo con una paura enorme di aprire bocca.
“Che ti hanno tagliato la lingua? Solitamente parli in continuazione!”
“Io.. io sono Jacopo…”
“Ah allora parli!”
“Lei chi è?”
“Io? Vuoi sapere chi sono IO??! Io sono Georges, riparo articolazioni, ossa rotte, ferite e mantengo sano il tuo corpo. Il mio biglietto da visita.”
Gli porse un piccolo biglietto gialla con una sua foto e il suo nome senza altre indicazioni.
“Ti va un tè? Te lo offro volentieri, abito qui dietro tanto andiamo.”
“Senta.. Ma qui dove siamo?”
“Dentro la tua testa per Giove!”
Gli rispose lui, senza girarsi e continuando a camminare.
“Siamo davvero dentro la mia testa? Ma la mia mamma mi ha detto che dentro alla mia testa c’era un’enorme noce spugnosa e invece trovo lei?”
“Be i tuoi genitori non hanno tutti i torti.. Il fatto è che loro vedono tutto da un altro punto di vista il che non è poco rilevante… Insomma quello che loro vedono è la balena dei ricordi. Ma ti assicura che vista da qui è mille volte meglio!”
“La balena dei ricordi?”
Nel frattempo avevano superato il cumulo di stracci su cui era atterrato Jacopo ed erano arrivati a una piccola scaletta di corda simile alle altre, la salirono e Jacopo si ritrovò su un piccolo balconcino con una piccola cucina e tanti cuscini sul pavimento.
“Si, è lui il capo qui.”
Nel frattempo si mise a preparare il tè e la fatina gli spostò dei cuscini per farlo sedere.
“Io sono solo l’uomo delle manutenzioni!”
Versò il tè e lo porse a Jacopo e alla fatina sedendosi sul pavimento. Si rilasso un po’ e finirono il loro tè, parlando e decidendo di andare a fare un giretto li intorno dopo.
Una volta finito, scesero di sotto e arrivarono al ponticello, vi erano parecchie buche, tutte abbastanza profonde e segnate da piccole placche d’argento su cui si leggeva “Occhi”, “Mani”, “Stomaco” ed altre.
“Allora, dove ti piacerebbe andare?”
“Non lo so… Forse i piedi..”
Geoges stava accennando di si con la testa e si diresse a prendere la scaletta per scendere, quando la fatina iniziò a lampeggiare e a girare intorno al vecchio come impaurita. L’espressione del vecchio si contrasse e si precipitò all’istante con Jacopo in braccio, verso il balcone.
“Cosa succede?!”
Gridò Jacopo terrorizzato per le scosse che iniziarono a echeggiare nella testa.
“Sta arrivando! Non c’è molto tempo! Presto sali!”
Prese a salire più veloce che poteva su quella scaletta e quando ormai era arrivato in cima, da uno dei fori uscì fuori l’essere più maestoso che avesse mai visto.
La Balena.
“Non incantarti! Sali presto!”
Jacopo ritornò in se e arrivò al balconcino e una volta lì, Georges lo prese velocemente e lo legò con lui a una cintura fissata al pavimento, rimanendo ad ammirare quel meraviglioso spettacolo.
“E’ stupenda”
Esclamò incantato.
Ed in effetti era meravigliosa, di un azzurro chiaro e completamente ricoperta di occhi , alcuni sorridenti, altri tristi, altri arrabbiati e altri stupefatti. Nuotava placida fra quel pulviscolo bianco come in una lenta e dolce danza, arrivando fino alla cima per poi riscendere con ampi cerchi fino al pavimento.
“Come mai quell’occhio piange?”
“Deve essere un tuo ricordo triste..”
“Ogni occhio è un mio ricordo?”
“Sei perspicace! Esatto, ogni occhio è un tuo ricordo. Bella no?”
Una grossa folata di vento scompigliò i lunghi capelli di Georges e fece chiudere gli occhi a Jacopo, facendogli rendere conto che era meglio essere legati altrimenti sarebbero volati via.
La balena dopo aver nuotato per un bel po’ creando un meraviglioso spettacolo, si rituffò in uno dei fori sparendo e lasciando dietro di se una leggera scia gialla che a poco a poco svanì.
“E’ meravigliosa!”
Esclamò Jacopo entusiasta sciogliendo la cinta che lo aveva trattenuto.
“Hai visto che bella? Quando è salita su così velocemente fino al soffitto coprendo la luce e poi è scesa così calma… E’ bellissima! Bellissima!!”
“Ehi ehi ragazzo calmati! Non mi stupisce che ti entusiasmi così tanto… Infondo l’ hai creata tu…”
“Cosa vuol dire?”
“Vedi - iniziò il vecchio dirigendosi verso il ponte – Tutto quello che vedi è il tuo mondo, ognuno crea il suo nella sua testa da quello che vede, da vive..”
Jacopo iniziò a capire perché quella fatina era familiare e continuò a seguire l’anziano barbuto fino ad uno dei fori.
“Bocca”
Lesse a alta voce
“Avrei voluto vedere i piedi.”
“Mi spiace, ma purtroppo fra poco ti sveglierai e devo farti uscire da qui.”
“No! Io voglio restare qui! Devo ancora vedere un sacco di cose!”
“Non puoi restare qui, se resti qui bloccato dopo che ti svegli è la fine. Devi andare.”
Alla vista dell’espressione così seria sul viso di Georges, non ribatté e con gli occhi bassi rimase zitto. Poi ripensò alle parole del vecchio, se tutto era frutto della sua mente anche Georges lo era, ma dove lo aveva visto?
“Coraggio, ora calati qua ragazzo”
Jacopo prese la corda e iniziò a scendere. A metà strada alzò lo sguardo sul vecchio. Gli sorrise e gentilmente, arricciando leggermente il naso gli disse:
“In gamba campione! Ci vedremo prestissimo Jacopo.”
Jacopo si svegliò di botto. Iniziò a piangere. La madre entrò in camera per svegliarlo e si allarmò nel trovarlo così.
“Amore? Cosa è successo? Hai fatto un brutto sogno?”
Affondò il viso nel petto della madre e fra le lacrime l’unica cosa che riuscì a singhiozzare fu
“Il.. sigh no..nonno…”
“Il nonno? Cosa è successo al nonno? L’ hai sognato?”
Jacopo non riusciva a spiegare alla madre cosa provava in quel momento se rabbia per non avergli detto addio tanto tempo prima, o felicità per averlo visto così sereno. E come tante volte, aveva fatto nonno Giorgio gli rispose soltanto:
“E’… una storia lunga…”

 
Scribacchiata da Tata at 3:54 PM | Permalink | 0 comments